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Tachicardia ventricolare


Che cosa sono le tachicardie ventricolari?

Le tachicardie ventricolari sono aritmie che nascono dalle camere inferiori del cuore (ventricoli) caratterizzate da una elevata frequenza cardiaca (maggiore di 100 battiti al minuto). Molto spesso queste aritmie si manifestano in forma “parossistica”, cioè con inizio e fine improvvise separate da un lungo periodo di stabilità; più raramente hanno carattere iterativo, cioè si presentano e svaniscono continuamente, oppure incessante cioè sono quasi sempre presenti e ricompaiono immediatamente dopo una transitoria interruzione.

Le tachicardie ventricolari possono manifestarsi in persone apparentemente sane (tachicardie idiopatiche), o in pazienti affetti da una malattia cardiaca. Le forme idiopatiche sono spesso presenti già in giovane età, mentre le altre possono comparire a qualsiasi età.

Quali sono i sintomi delle tachicardie ventricolari?

La contrazione molto rapida (tachicardia) del cuore può determinare un inadeguato flusso di sangue nel corpo e quindi produrre dei sintomi che principalmente sono:

  • palpitazioni (sensazione di battito accelerato ed irregolare)
  • debolezza o incapacità di eseguire la normale attività fisica
  • affanno
  • sensazione di “testa vuota”
  • sensazione di mancamento
  • svenimento

In rari casi i disturbi possono essere molto lievi, o addirittura assenti, e l’aritmia viene scoperta occasionalmente durante una visita cardiologica eseguita per altri motivi. In presenza di sintomi o segni suggestivi della presenza di una tachicardia ventricolare è opportuno che il medico di base indirizzi il paziente verso una visita con uno specialista di Elettrofisiologia (un cardiologo che si occupa delle aritmie cardiache).

In casi di maggiore gravità, invece, è necessario un rapido accesso al Pronto Soccorso.

Quali sono le cause delle tachicardie ventricolari?

La maggior parte delle tachicardie ventricolari sono legate alla presenza di una cardiopatia. Le malattie più frequentemente responsabili sono:

  • pregresso infarto miocardico: una “cicatrice” del muscolo cardiaco legata alla improvvisa chiusura di un vaso sanguigno che nutre il cuore)
  • cardiomiopatia dilatativa: condizione in cui il cuore si ingrandisce e si contrae con minore forza
  • cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e/o sinistro: condizione geneticamente determinata in cui il muscolo cardiaco viene parzialmente sostituito da grasso e “cicatrice” senza che vi sia una alterazione del flusso sanguigno
  • miocardite cronica: infiammazione del cuore che guarisce lasciando una “cicatrice”
  • cardiomiopatia ipertrofica: malattia geneticamente determinata in cui tutto o parte del cuore si ispessisce in maniera abnorme
  • difetti congeniti della struttura del cuore (ad esempio tetralogia di Fallot) sottoposti o meno a correzione cardiochirurgica

Le tachicardie ventricolari “idiopatiche”, invece, non sono legate ad una malattia cardiaca diagnosticabile con le indagini attualmente a disposizione.

Nella maggior parte dei casi la tachicardia ventricolare è legata alla presenza di un “corto-circuito” elettrico del cuore (circuito di rientro) che, in presenza di condizioni favorenti si attiva dando origine alla tachicardia. Più raramente, l’aritmia è invece dovuta alla attivazione molto rapida di un gruppo di cellule (focus) localizzate un uno dei ventricoli.

Le forme idiopatiche, invece, sono più frequentemente legate alla presenza di un focus localizzato nel ventricolo destro o sinistro. Le tachicardie ventricolari associate ad una malattia cardiaca, infine, sono più frequentemente legate ad un “corto-circuito” elettrico localizzato in ventricolo sinistro (con poche eccezioni come nella cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro).

Quali sono le conseguenze delle tachicardie ventricolari?

Per le persone che hanno un cuore in salute le tachicardie ventricolari sono in genere responsabili solo di un peggioramento della qualità della vita dovuto ai sintomi, all’assunzione dei farmaci o agli accessi in Pronto Soccorso per l’arresto dell’aritmia.

Per le persone con una cardiopatia, o in rari casi di predisposizione, un’elevata frequenza cardiaca prodotta dalla tachicardia ventricolare può causare la perdita di coscienza (svenimento) oppure l’arresto cardiaco per trasformazione dell’aritmia in fibrillazione ventricolare e morte improvvisa, se non si interviene prontamente con una rianimazione efficace (defibrillazione). 

Quali sono gli esami diagnostici necessari?

La diagnosi della tachicardia ventricolare avviene a seguito della registrazione dell’elettrocardiogramma eseguita generalmente in Pronto Soccorso durante i sintomi o, più raramente, in maniera occasionale. Per completare la diagnosi potrebbero essere indicate anche ulteriori indagini:

Qual è il trattamento delle tachicardie ventricolari?

Il trattamento delle tachicardie ventricolari ha da un lato l’obiettivo di ridurre i sintomi legati all’aritmia (soprattutto nelle forme idiopatiche) e, dall’altro, di prevenire il rischio di morte improvvisa da arresto cardiaco.

L’episodio acuto, se non termina spontaneamente, può essere interrotto durante un accesso in Pronto Soccorso attraverso somministrazione di farmaci per via endovenosa o mediante una cardioversione elettrica (“scarica elettrica” erogata con delle speciali piastre posizionate sul torace).

Per la prevenzione delle recidive aritmiche possono essere utilizzati farmaci antiaritmici somministrati per bocca o eseguita una procedura interventistica chiamata ablazione transcatetere.

I farmaci antiaritmici più comunemente usati sono la Flecainide, il Propafenone, il Sotalolo, l’Amiodarone, il Dronedarone, il Verapamil ed i beta-bloccanti (Atenololo, Metoprololo, Carvedilolo, Bisoprololo, ecc). La scelta del farmaco ed il dosaggio potrà variare, su indicazione del medico, a seconda del tipo di tachicardia ventricolare, della cardiopatia (tipo e gravità) del paziente e della risposta al trattamento. I principali effetti indesiderati sono rappresentati dalla nausea e dalla debolezza, alcuni farmaci possono anche causare danni alla tiroide, occhi e polmone (amiodarone); il rischio di peggioramento del quadro aritmico è presente anche se molto basso. Per questi motivi, il trattamento con farmaci antiaritmici deve essere seguito sotto periodico controllo del cardiologo di fiducia. L’efficacia nella prevenzione delle recidive di tachicardia ventricolare comunque non è molto elevata sia nelle persone senza malattia cardiaca (forme idiopatiche) che nei cardiopatici.

L’ablazione transcatetere ha l’obiettivo di rendere inattive le strutture responsabili della tachicardia ventricolare. La procedura di ablazione viene eseguita durante breve ricovero ospedaliero, in anestesia locale e mediante speciali sonde introdotte attraverso le vene o le arterie. In questo modo è possibile valutare le caratteristiche elettriche del cuore e provocare, attraverso degli impulsi elettrici, l’aritmia di cui il paziente è affetto identificandone con esattezza il meccanismo responsabile. Questa fase prende il nome di “studio elettrofisiologico”. Successivamente, muovendo una delle sonde introdotte all’interno del cuore, viene ricercata e localizzata con precisione l’area responsabile dell’aritmia. Questa fase prende il nome di “mappaggio” e viene eseguito anche con l’ausilio di sistemi di navigazione tridimensionale (apparecchiature assimilabili ai “navigatori satellitari” utilizzati con le automobili che consentono una più agevole e accurata manovra delle sonde all’interno del cuore). Una volta identificata, l’area viene resa inattiva mediante la creazione di una piccola “cicatrice” provocata dal passaggio di una corrente che genera calore (radiofrequenza) trasmessa attraverso la sonda. Più raramente la “cicatrice” può essere creata attraverso il freddo (criotermia) prodotto dal passaggio di uno speciale gas all’interno della sonda. Questa fase prende il nome di “ablazione transcatetere”. Se necessario, durante la procedura potrebbero essere somministrati farmaci anticoagulanti o sedativi. Le complicanze sono relativamente rare e dipendono principalmente dalla localizzazione dell’area responsabile dell’aritmia e della gravità della cardiopatia di cui il paziente è affetto. 

Nelle persone con cuore sano le probabilità di cura (abolizione permanente dell’aritmia) sono molto elevate e nettamente superiori a quelle ottenibili con i farmaci antiaritmici. La necessità di ripetere la procedura di ablazione per insuccesso o recidiva dell’aritmia è infrequente. Nei casi in cui l’aritmia è invece legata ad una malattia cardiaca le probabilità di cura sono minori e, anche in presenza di un successo in acuto, non è sempre possibile escludere la comparsa di ulteriori forme aritmiche nel corso del tempo (legate solitamente all’evoluzione della cardiopatia). Pertanto, con alcune eccezioni, in questi pazienti l’ablazione transcatetere può essere considerata un intervento in grado di ridurre gli episodi aritmici ma non di prevenirli del tutto e di annullare quindi il rischio di morte improvvisa.

I farmaci e l’ablazione transcatetere non sono in grado di prevenire con assoluta certezza l’arresto cardiaco. A tale scopo, il trattamento più efficace è rappresentato dall’impianto di un defibrillatore automatico. Il defibrillatore automatico è un apparecchio in grado di controllare continuamente l’attività elettrica del cuore intervenendo principalmente in caso di improvvise accelerazioni legate ad un’aritmia ventricolare (tachicardia o fibrillazione) potenzialmente mortale. Il sistema è composto da due parti:

  1. una centrale che riconosce e genera gli impulsi elettrici (generatore); rappresenta il “cervello” del sistema e viene posizionato generalmente nella parte alta del petto
  2. uno o più sonde collegate al generatore e posizionate all’interno del cuore (elettrocateteri); trasmettono gli impulsi elettrici dal generatore al cuore e viceversa. In alcuni casi la sonda utilizzata è extravascolare e viene posizionata sotto la cute nella zona centrale del petto.

In presenza di una tachicardia ad alta frequenza il defibrillatore può intervenire in due modi:

  1. emettendo degli impulsi elettrici a frequenza maggiore dell’aritmia stessa che ne provocano l’arresto (stimolazione antitachicardica)
  2. erogando una scarica elettrica ad elevato voltaggio (defibrillazione/cardioversione) che arresta l’aritmia e fa ripartire il cuore con il suo normale ritmo

Il defibrillatore viene impiantato dall’elettrofisiologo (un cardiologo che si occupa delle aritmie del cuore) durante un breve ricovero. L’apparecchio viene inserito, in anestesia locale, attraverso un piccolo taglio eseguito nella parte alta del petto. Una o più sonde vengono introdotte attraverso una vena reperita nella stessa zona di incisione e posizionate nel cuore sotto la guida dei raggi X. E’ anche possibile utilizzare apparecchi totalmente extravascolari in cui la sonda è posizionata sotto la cute nella parte centrale del petto. Se indicato, il funzionamento del sistema viene valutato provocando con degli impulsi elettrici l’aritmia ventricolare e testando la capacità di questo di interromperla con una scarica elettrica (test di defibrillazione).  In questa fase il paziente viene profondamente sedato con farmaci onde evitare che avverta dolore. Le complicanze sono rare e sono dovute prevalentemente all’inserimento delle sonde. La dimissione avviene nella giornata successiva all’impianto. Il corretto funzionamento del defibrillatore verrà valutato mediante periodici controlli ambulatoriali. Nei moderni dispositivi il controllo elettronico può avvenire anche a distanza attraverso un particolare apparecchio in dotazione al paziente che trasmette quotidianamente i dati raccolti al Centro di riferimento. In prossimità della scarica delle batterie (di solito dopo molti anni dall’impianto) il generatore verrà sostituito con un modello equivalente durante un breve ricovero.