COME TI POSSIAMO AIUTARE?

Centralino
0331 476111

Se hai bisogno di maggiori informazioni contattaci telefonicamente

ANNULLARE UNA PRENOTAZIONE
0331 476210

Lasciare un messaggio in segreteria telefonica sempre attiva.

Prenotazione
0331 476210

In convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, privato e assicurato.

Centro odontoiatrico
0331 476336

Infarto


L’infarto del miocardio (o miocardico) si verifica quando un trombo (coagulo di sangue) interrompe improvvisamente il flusso di sangue all’interno di un’arteria coronaria (vaso sanguigno che porta il sangue ad una parte del muscolo cardiaco). L’interruzione del flusso sanguigno diretto al cuore, con il protrarsi dei minuti ed ore può danneggiare o distruggere (necrosi) una parte del muscolo cardiaco (miocardio). Tuttavia, se il flusso sanguigno viene ripristinato in tempi brevi, il danno al cuore può essere limitato o addirittura evitato.

Un infarto del miocardio, anche chiamato attacco cardiaco, può essere fatale. Questo succede per lo più quando le persone confondono i loro sintomi con una malattia meno grave, come l’indigestione, e ritardano l’accesso in ospedale. Dunque, per ridurre la mortalità è fondamentale che il paziente o i familiari riconoscano prontamente i sintomi al fine di attivare i soccorsi e le relative strategie terapeutiche urgenti (farmacologica e soprattutto riperfusione meccanica con angioplastica).

Quali sono i sintomi dell’infarto?

Tra i sintomi più frequenti dell’infarto del miocardio si annoverano:

  • Oppressione toracica, sensazione di pienezza o dolore “a morsa” (costrittivo) nel centro del petto che dura dei minuti (di solito più di 20) senza interruzione e senza risposta a farmaci come i nitrati assunti per via sublinguale
  • Dolore che si estende oltre il petto verso la spalla, il braccio, la schiena o anche fino ai denti ed alla mandibola
  • Episodi di dolore toracico che aumentano di frequenza (numero di episodi per giorno) ed intensità
  • Dolore prolungato nella parte alta dell’addome ed alla “bocca dello stomaco”
  • Nausea e vomito
  • Mancanza di respiro
  • Sudorazione
  • Sensazione di svenimento

Tuttavia non tutte le persone che hanno un infarto hanno gli stessi sintomi o li sperimentano con la stessa intensità. Molti infarti non sono così drammatici come quelli dipinti nell’immaginario collettivo ed addirittura alcuni infarti possono svilupparsi senza che il soggetto abbia alcun sintomo (infarto “silente” o “misconosciuto”). Comunque, più sintomi (dolore toracico oppressivo protratto) e segni (sudorazione, agitazione etc.) si avvertono, più è probabile che sia abbia un infarto in corso.

Quali sono le complicanze dell’infarto?

Le complicanze di un infarto del miocardio dipendono dall’entità del danno subito dal cuore e sono di vario tipo.

  • Alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie). Se il muscolo cardiaco è danneggiato da un infarto, si possono formare “corto-circuiti” elettrici che danno luogo a ritmi cardiaci anomali, alcuni dei quali pericolosi o addirittura fatali (es. tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare, ecc).
  • Insufficienza cardiaca (o scompenso cardiaco). La quantità di muscolo cardiaco danneggiato può essere tale che il muscolo sano rimanente non sia più in grado di pompare adeguatamente sangue all’organismo. Ciò riduce il flusso di sangue a tessuti e organi e può causare mancanza di respiro, stanchezza, gonfiore alle caviglie. L’insufficienza cardiaca può essere temporanea (acuta) e risolversi dopo che il cuore, “stordito” dall’infarto, recupera nel giro di giorni o settimane, ma può anche diventare una condizione cronica in seguito ad un danno cardiaco esteso e permanente provocato dall’infarto. In casi estremi si può arrivare allo stato di shock cardiogeno in cui il danno al muscolo cardiaco è così esteso da mettere in crisi la capacità di generare pressione e rifornire di sangue, ossigeno e nutrienti tutti gli altri tessuti dell’organismo; condizione spesso fatale.
  • Rottura di cuore. Porzioni di muscolo cardiaco indebolite da un infarto si possono lacerare, con conseguenze spesso letali.
  • Problemi alle valvole cardiache. Le valvole cardiache possono perdere la propria capacità funzionale a causa del danno provocato dall’infarto. Le situazioni che si instaurano sono spesso minacciose per la sopravvivenza.

I Fattori di Rischio

Un infarto del miocardio avviene quando una o più arterie che portano sangue ricco di ossigeno al cuore (arterie coronarie) si chiudono. Nel corso del tempo, un’arteria coronaria può diventare ristretta per l’accumulo di colesterolo (“placca”). Il processo che porta all’accumulo di colesterolo nelle arterie dell’intero organismo si definisce aterosclerosi.

Durante un infarto, una delle placche coronariche si rompe e nella sede di rottura si forma un trombo (coagulo) che, se sufficientemente grande, può bloccare completamente il flusso di sangue dentro la coronaria.

Quando le coronarie di una persona sono ristrette a causa dell’aterosclerosi, si parla di coronaropatia (malattia coronarica). La coronaropatia è la causa sottostante della maggior parte degli infarti.

Una causa rara di infarto è lo spasmo di un’arteria coronarica tale da interrompere il flusso di sangue a parte del miocardio. Alcune droghe, come la cocaina, possono provocare questo spasmo così pericoloso. Altra causa non frequente di infarto è l’embolizzazione coronarica e cioè l’occlusione di un’arteria coronarica da parte di trombi che si sono staccati da altre parti del corpo ed hanno raggiunto il cuore attraverso la circolazione sanguigna.

Alcuni fattori contribuiscono al danno arterioso ed al conseguente accumulo di depositi di grasso (aterosclerosi) che restringono le arterie dell’intero organismo, incluse le arterie del cuore (coronarie). Questi sono detti “fattori di rischio cardiovascolare”.

La gestione dei fattori di rischio è fondamentale al fine di ridurre la probabilità di avere un primo infarto o una recidiva. I fattori di rischio cardiovascolare sono:

  1. Età. Uomini dai 45 anni in su e donne dai 55 anni in su hanno più probabilità di avere l’aterosclerosi e quindi un infarto rispetto a uomini e donne più giovani.
  2. Sesso. Gli uomini hanno generalmente un rischio maggiore di malattia coronarica; mentre il rischio per le donne aumenta dopo la menopausa.
  3. Fumo. Il fumo attivo e l’esposizione passiva a lungo termine danneggiano le pareti interne delle arterie favorendo i depositi di colesterolo e di altre sostanze. Il fumo inoltre rallenta il flusso sanguigno ed aumenta il rischio di formazione di trombi che a loro volta provocano l’infarto.
  4. Diabete mellito. Il diabete è l’incapacità dell’organismo di produrre insulina in quantità adeguata o di rispondere adeguatamente all’insulina, l’ormone secreto dal pancreas che permette al corpo di utilizzare il glucosio (zucchero ricavato dai cibi). Il diabete può presentarsi nell’infanzia, ma più spesso compare a mezza età, frequentemente nelle persone sovrappeso. Il diabete aumenta fortemente il rischio di aterosclerosi e infarto.
  5. Ipertensione arteriosa. Col passare del tempo le arterie si irrigidiscono e la pressione sanguigna all’interno di esse si alza. La pressione alta può danneggiare le arterie accelerando il processo di aterosclerosi. Il rischio di ipertensione arteriosa aumenta con l’età, ma è spesso correlato ad un’alimentazione troppo ricca di sale o al sovrappeso. L’ipertensione arteriosa può anche avere una componente familiare.
  6. Elevati livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue (ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia). Il colesterolo è la componente fondamentale delle placche aterosclerotiche. Un livello alto di colesterolo “cattivo” (LDL) nel sangue aumenta il rischio di restringimento di tutte le arterie e quindi anche delle coronarie; spesso è il risultato di un’alimentazione ricca di grassi saturi e di colesterolo. Anche un eccesso di trigliceridi contribuisce ad accelerare l’aterosclerosi, mentre un alto livello di colesterolo “buono” (HDL) è auspicabile per ridurne il rischio.
  7. Familiarità per infarto. Se parenti stretti (fratelli o sorelle, genitori o nonni) hanno avuto un infarto, il rischio è aumentato. Questo è dovuto a caratteristiche genetiche su cui al momento è impossibile incidere in termini preventivi.
  8. Sedentarietà. Uno stile di vita sedentario favorisce lo sviluppo di elevati livelli di colesterolo, di diabete, di ipertensione arteriosa e di sovrappeso fino all’obesità. Le persone che praticano regolarmente esercizio aerobico hanno una miglior salute cardiovascolare e teoricamente un rischio minore d’infarto. L’esercizio fisico regolare è infatti benefico nell’abbassare il peso corporeo, i livelli di pressione arteriosa, di colesterolemia e di glicemia.
  9. Obesità. Le persone obese hanno un’alta proporzione di grasso corporeo (indice di massa corporea uguale o superiore a 30). L’obesità aumenta il rischio di sviluppare l’aterosclerosi essendo associata ad elevati livelli di colesterolo, di pressione arteriosa e di glicemia (aumentato rischio di diabete).
  10. Stress. Lo stile di vita e la personalità possono, tramite l’attivazione di meccanismi ormonali, aumentare il rischio di infarto. In condizioni di stress, infatti, aumenta il livello circolante di ormoni come l’adrenalina ed il cortisolo che possono indurre l’aumento della pressione arteriosa e favorire la rottura delle placche coronariche.
  11. Uso di droghe. L’uso di droghe stimolanti, come la cocaina o le anfetamine, può scatenare uno spasmo di un’arteria coronarica con conseguente infarto.

I fattori di rischio spesso coesistono ed ognuno può contribuire all’insorgenza dell’altro: l’obesità ad esempio contribuisce all’insorgenza di diabete ed ipertensione arteriosa. Se si possiedono più fattori di rischio si ha un rischio maggiore di malattia coronarica. La sindrome metabolica, condizione che include ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, resistenza all’insulina ed eccesso di peso (addominale), predispone ad esempio ad un rischio molto elevato di malattia aterosclerotica coronarica.

I Trattamenti

Cosa fare se si sospetta un infarto o se si vede una persona che sta avendo un possibile infarto?

Durante un infarto bisogna agire immediatamente.

Tante persone aspettano troppo perché non riconoscono i segni e i sintomi e questo può influenzare la prognosi. E’ importante rammentare le seguenti raccomandazioni:

  1. Chiamare l’assistenza medica d’emergenza (118). Se si sospetta di avere un infarto, non bisogna esitare. Bisogna chiamare subito il 118. Se non c’è disponibilità di servizi medici d’emergenza, farsi accompagnare da qualcuno all’ospedale più vicino dotato di pronto soccorso. Non bisogna guidare in prima persona poiché se le condizioni peggiorano all’improvviso si mette a rischio la propria vita e quella degli altri.
  2. Assumere nitroglicerina, se prescritta. Se il proprio medico ha prescritto la nitroglicerina, assumerla come indicato mentre si attende l’arrivo del personale medico d’emergenza.
  3. Assumere Aspirina, se raccomandata.

Se si è preoccupati per il rischio di avere un infarto, assumere aspirina potrebbe ridurre il danno al cuore rendendo il sangue meno propenso a formare trombi. L’aspirina però può interagire con altri farmaci, perciò non bisogna assumerla a meno che il proprio medico o il personale medico d’emergenza lo abbiano consigliato. In ogni caso, non bisogna tardare a chiamare il 118.

Nei minuti iniziali, un infarto può scatenare la fibrillazione ventricolare, cioè un’ aritmia maligna in cui il cuore “freme” ma senza efficacia. Se non trattata immediatamente, la fibrillazione ventricolare conduce ad arresto cardiocircolatorio e morte improvvisa.

L’impiego tempestivo di un defibrillatore automatico esterno, che dà una scarica elettrica al cuore riportandolo al ritmo normale, può offrire un trattamento d’emergenza prima che la persona con l’infarto in corso raggiunga l’ospedale.Oltre alla fibrillazione ventricolare l’infarto può essere associato ad altre aritmie che possono determinare perdita di coscienza. In caso di persona incosciente a causa di un presunto infarto (dolore toracico prima dello svenimento), è importante attivare immediatamente il personale medico d’emergenza (118).

In seguito ma rapidamente bisogna iniziare la rianimazione cardio-polmonare (RCP) applicando decise compressioni toraciche sul torace (massaggio cardiaco). Questo aiuta a fornire ossigeno al corpo ed al cervello. Secondo le linee guida dell’American Heart Association, indipendentemente dal fatto che il cittadino sia addestrato o meno a manovre emergenti, dovrebbe iniziaere la RCP con le compressioni toraciche (massaggio cardiaco).

Ad ogni compressione è necessario spingere verso il basso circa 5 centimetri sul petto della persona, con una frequenza di almeno 100 volte al minuto. Se il cittadino è stato addestrato nella RCP, è fondamentale controllare le vie aeree della persona e fornirle dei respiri di salvataggio ogni 30 compressioni. Se non si è addestrati, limitarsi alle compressioni.

Trattamento dell’infarto in ospedale

Una volta che il paziente presunto infartuato viene preso in carico dai soccorsi, in caso di conferma (tramite esecuzione dell’elettrocardiogramma) della diagnosi di infarto, inizia la corsa all’ospedale più vicino fornito di Servizio di Emodinamica 24/24 ore e 365/365 giorni per eseguire l’angioplastica della coronaria occlusa. Tuttavia, se nei paraggi dell’evento non vi sono ospedali forniti di tale servizio e per raggiungerli sono necessarie più di 2 ore, allora è possibile che si opti già in ambulanza o all’arrivo nell’ospedale più vicino per la terapia farmacologica con trombolitico.

Farmaci

Ad ogni minuto che passa durante un infarto, sempre più tessuto cardiaco rimane senza ossigeno e si deteriora o muore. Il modo più efficace di prevenire o quantomeno limitare il danno cardiaco è ripristinare velocemente il flusso sanguigno.

I farmaci impiegati per curare un infarto includono:

Aspirina. Viene somministrata dal personale medico di soccorso urgente oppure appena arrivati in ospedale. L’aspirina riduce la formazione di trombi e pertanto aiuta a mantenere fluido il sangue che scorre in un’arteria ristretta.

  1. Trombolitici. Aiutano a sciogliere il trombo che sta bloccando il flusso di sangue al cuore. Quanto più precoce è la terapia con trombolitico durante un infarto, tanto maggiore è la probabilità di sopravvivere all’infarto e di limitare il danno al cuore.
  2. Altri anti-aggreganti piastrinici. Farmaci in parte simili all’aspirina, anch’essi inibitori dell’aggregazione delle piastrine (anti-aggreganti piastrinici), come per esempio clopidogrel o prasugrel o ticagrelor.
  3. Altri farmaci che fluidificano il sangue. Probabilmente ti verranno somministrati anche altri farmaci, come l’eparina, sempre al fine di rendere il sangue meno viscoso e meno propenso a formare coaguli. L’eparina viene somministrata in vena o sottocute.
  4. Anti-dolorifici. Ad esempio la morfina, se il dolore associate all’infarto è molto intenso.
  5. Nitroglicerina. Questo farmaco, usato nella cura del dolore toracico (angina pectoris), dilata transitoriamente le arterie (è un vasodilatatore) migliorando il flusso sanguigno.
  6. Beta-bloccanti. Aiutano a mettere a riposo il muscolo cardiaco, rallentare il battito cardiaco e diminuire la pressione arteriosa con l’effetto di ridurre il lavoro del cuore. I beta-bloccanti sono in grado di limitare l’estensione del danno al muscolo cardiaco e prevenire ulteriori infarti.
  7. Farmaci che abbassano il colesterolo. Tra questi farmaci annoveriamo le statine, la niacina, i fibrati ed i sequestratori degli acidi biliari. Tali medicinali concorrono ad abbassare i livelli ematici di colesterolo e possono risultare utili nell’aumentare la sopravvivenza se introdotti presto dopo un infarto.

Procedure interventistiche

Seppur la terapia farmacologica sia importante tuttavia in corso di infarto miocardico acuto è l’angioplastica coronarica a salvare il miocardio ed eventualmente anche la vita del paziente.

Angioplastica coronarica percutanea (PTCA) con impianto di stent L’angioplastica in urgenza serve a riaprire l’arteria coronaria occlusa ripristinando il flusso sanguigno al cuore.

Si tratta di una procedura mini-invasiva eseguita in anestesia locale. Il cardiologo interventista la esegue inserendo un tubicino lungo e sottile (catetere) in un’arteria, generalmente a livello del polso (arteria radiale) o dell’inguine (arteria femorale), che viene avanzato fino all’origine della coronaria chiusa. Successivamte un filo-guida viene avanzato attraverso il catetere e poi all’interno della coronaria chiusa oltre l’occlusione.

In tal modo è possibile far scorrere sopra il filo-guida uno speciale pallone che, una volta in posizione, viene gonfiato per breve tempo allo scopo di riaprire l’arteria coronaria occlusa. A seguire può essere impiantato uno stent a maglia metallica per tenere aperto il punto critico a lungo termine.

Tenendo in considerazione diverse variabili (età e malattia associate), il medico potrà scegliere di posizionare uno stent rivestito con un farmaco a rilascio (stent medicato) che serve a ridurre la probabilità che l’arteria vada incontro a nuovo restringimento nella sede di impianto dello stent.

L’angioplastica coronarica viene effettuata immediatamente dopo aver fatto la coronarografia (vedi sezione sull’angina pectoris), nella stessa seduta. Quanto più precoce è l’angioplastica, tanto maggiore è la probabilità di sopravvivere all’infarto e di limitare il danno al cuore.

Intervento di by-pass aorto-coronarico

In alcuni casi, cioè quando in associazione all’occlusione di una coronaria coesiste una severa coronaropatia riguardante tutte le arterie coronarie è possibile che il medico esegua un’angioplastica per riaprire la coronaria occlusa decidendo poi di far sottoporre il paziente ad un intervento di by-pass.

Generalmente tale intervento viene svolto dopo che il cuore ha avuto tempo per riprendersi dall’infarto tuttavia in alcuni rari casi è possibile che venga eseguito in corso di infarto. Il by-pass è un intervento di chirugia maggiore eseguito in anestesia generale. Consiste nell’abboccare un condotto realizzato con un tratto di vena o un’arteria a valle del punto ristretto o chiuso dell’arteria coronaria (oltrepassando quindi il segmento ristretto), ripristinando in tal modo il flusso al muscolo cardiaco.

Dopo che il flusso di sangue è stato ripristinato è fondamentale una fase di montoraggio di ore o giorni in terapia intensiva. Quando i parametri vitali si saranno stabilizzati, si transiterà nel reparto di degenza ordinaria per proseguire l’osservazione e le cure.

 

Domande Frequenti (F.A.Q.)

Che cos’è l’infarto?

L’infarto consiste nella morte di aree più o meno estese di cellule muscolari cardiache conseguente all’occlusione acuta di una delle arterie coronarie che irrorano il muscolo cardiaco. Si tratta di una condizione che se non trattata può determinare conseguenze nefaste tra cui la morte improvvisa, aritmie maligne, rottura di cuore, scompenso cardiaco.

Il rischio di infarto é uguale per uomini e donne?

Il rischio di infarto o comunque di malattia coronarica non è lo stesso tra i due sessi prima dei 50 anni d’età (periodo pre-menopausale nella donna), quando nell’uomo il rischio è maggiore.

Tuttavia sempre nella stessa fascia d’età qualora l’evento si manifesti nel sesso femminile è associato ad una prognosi peggiore rispetto l’uomo.Dopo i 50 anni invece il rischio tende ad equivalersi tra i due sessi.

Tuttavia le caratteristiche delle donne con  malattia coronarica sono diverse rispetto l’uomo in quanto le donne hanno solitamente sintomi più sfumati ed una presentazione ospedaliera più tardiva nonchè sono più anziane (in media di 10 anni) e con più fattori di rischio. Inoltre sono esposte a maggiori rischi di sanguinamento dopo assunzione di farmaci antitrombotici ed antiaggreganti rispetto gli uomini.

In caso di pregresso infarto miocardico si può svolgere attività fisica e di che tipo?

L’entità dello sforzo fisico che è possibile svolgere dopo infarto miocardico acuto dipende da una serie di variabili tra cui l’estensione dell’infarto, l’eventuale disfunzione sistolica del ventricolo sinistro associata (cioè la riduzione della capacità cardiaca di pompare sangue) e l’eventuale presenza di altre lesioni coronariche che debbano essere sottoposte a trattamento percutaneo programmato.

In genere per infarti non complicati cioè in soggetti con malattia di una sola coronaria e senza conseguenze sull’attività di pompa, l’attività fisica che è possibile svolgere è pressochè normale mentre diverso è il discorso per soggetti in cui l’infarto abbia provocato danni in termini di contrattilità dove le limitazioni sono maggiori. Tuttavia, è sempre importante concordare con il cardiologo curante il tipo e le modalità con cui svolgere attività fisica in modo tale che questa possa essere personalizzata sulle caratteristiche del paziente.

Esiste una riabilitazione in seguito a infarti o interventi?

Dopo eventi cardiaci acuti come l’infarto miocardico o dopo interventi cardiochirurgici esiste la possibilità di essere sottoposti a cicli riabilitativi per riadattare progressivamente il sistema cardiocircolatorio dopo un grave insulto. Quando indicati, tali cicli hanno un impatto benefico sul proseguio della vita del cardiopatico.

Tuttavia, se dopo intervento cardiochirurgico la riabilitazione è una prassi costante, non si può dire lo stesso dopo un infarto. In questo caso infatti la sede dell’infarto e le conseguenze dello stesso (arresti cardiaci o disfunzione ventricolare sinistra severa) sono elementi determinanti nel definire la necessità o meno di un periodo riabilitativo.

I farmaci che riducono il colesterolo possono impedire gli attacchi di cuore?

I farmaci che riducono il colesterolo di cui il capostipite sono le statine hanno la funzione di regolare la produzione interna del colesterolo ed indirettamente dunque di evitare “l’ingrossamento” delle placche aterosclerotiche distribuite non solo a livello coronarico ma anche carotideo.

Questi farmaci, inoltre, hanno anche funzioni anti-infiammatorie che possono prevenire la rottura delle placche aterosclerotiche che è alla base degli eventi trombotici che causano l’infarto miocardico acuto e l’ictus cerebrale. Dunque le statine hanno un ruolo molto importante nel ridurre il rischio degli attachi ischemici cardiaci, ma anche cerebrali.

Unità Operative