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Posticipare la sveglia e disturbi del sonno: esiste un legame?

A chi non è mai capitato di posticipare la sveglia per ritardare il momento del risveglio e poi finire per riaddormentarsi? Si tratta di un atteggiamento molto comune che, tuttavia, rappresenta un’abitudine poco salutare. Nel tempo, infatti, oltre a rendere il risveglio più difficoltoso, contribuisce anche allo sviluppo di disturbi del sonno durante la notte. Non solo, questa pratica può essere anche un campanello d’allarme di alcune patologie, come la sindrome delle apnee notturne. 

Dormire male può causare nel tempo problemi di salute: per questo motivo il consiglio è consultare uno specialista prima che insorgano problematiche più severe. 

Ne parliamo con il dottor Alberto Braghiroli, pneumologo specializzato in disturbi del sonno di Humanitas Mater Domini e dei Centri Medici Humanitas Medical Care.

Posticipare la sveglia e stanchezza cronica

Svegliarsi in modo naturale e dormire a sufficienza ha molti benefici sul benessere generale, aiuta a percepire minore stanchezza nelle ore successive e a ridurre la caffeina assunta durante il giorno. 

In molti casi, l’utilizzo della sveglia è necessario, ma posticiparla e farla suonare più volte è una cattiva pratica. Continuare a svegliarsi e riaddormentarsi a più riprese, infatti, interrompe i cicli del sonno, provocando una sensazione di stanchezza che prosegue nel corso della giornata con conseguenze sulle facoltà cognitive e portando, a lungo termine, a sviluppare stanchezza cronica.

Stanchezza: potrebbe trattarsi di sindrome delle apnee notturne?

Quando si parla di sonno, reiterare cattive abitudini porta a instaurare un circolo vizioso dal quale è difficile liberarsi. Un sonno disturbato provoca sonnolenza durante il giorno, difficoltà di concentrazione e mal di testa. È necessario assicurarsi, quindi, che la stanchezza percepita che porta anche a posticipare la sveglia non sia dovuta a disturbi del sonno più severi, come la sindrome delle apnee notturne (OSAS, Obstructive Sleep Apnoea Syndrome).

La sindrome delle apnee notturne è un disturbo che causa durante il sonno un momentaneo arresto del respiro.  Se non diagnosticata per tempo può portare conseguenze cardiovascolari, tra cui l’aumento della pressione e della frequenza cardiaca, con un concreto rischio di ictus e altre patologie neurologiche acute.
Le apnee, inoltre, possono provocare una compromissione del sistema nervoso, con deficit di memoria e di attenzione e la possibilità di sviluppare demenza. 

Sindrome delle apnee notturne: la polisonnografia per la diagnosi

In caso di sospetto di sindrome delle apnee notturne, lo pneumologo può prescrivere la polisonnografia, esame strumentale diagnostico che consiste nella registrazione del sonno durante la notte e nel monitoraggio dei parametri fondamentali, come l’ossigenazione del sangue, il ritmo cardiaco e la respirazione. 
Se diagnosticata la sindrome delle apnee notturne, il trattamento prevede l’utilizzo di apparecchi a pressione positiva continua (CPAP) da indossare prima di dormire e che consentono di mantenere aperte le vie aeree. In determinati casi, invece, può essere opportuno l’utilizzo di un dispositivo di avanzamento mandibolare utile a migliorare il flusso d’aria nelle vie aeree, o in altri casi un trattamento chirurgico otorinolaringoiatrico.